12 apr 2010

Libri

Aatish Taseer,



Aatish Taseer è cresciuto nell’India laica e pluralista. Tra le sue prime influenze ci sono state il sikhismo della madre, un collegio cristiano e i fumetti su He-Man, “l’uomo più forte dell’universo”. Ma assillante, dietro questa abbondanza culturale, c’era un’assenza: quella del padre separato, il politico pachistano Salmaan Taseer. La parte migliore di Straniero alla mia storia è il viaggio indicato nel sottotitolo (Viaggio di un figlio nelle terre dell’islam): un’andata e ritorno dal mondo del padre. Inframmezzato a questa storia c’è un viaggio più generico nell’islam, dai sobborghi di Leeds, da cui provenivano gli attentatori suicidi del 7 luglio 2005 a Londra, attraverso Istanbul, Damasco e la Mecca. Fino all’Iran e al Pakistan. Strada facendo Taseer assiste ai “tumulti per le vignette”, viene interrogato da funzionari della sicurezza iraniana e osserva a casa del padre, a Lahore, la risposta all’assassinio di Benazir Bhutto. La scrittura è elegante e fluida per tutto il libro. Ma in Pakistan Taseer si concentra sui dettagli e dà il meglio di sé. Le sue descrizioni del Sindh rurale sono indimenticabili. Nel ritrarre le case abbandonate dai ceti medi indù e i templi dove una volta indù e musulmani pregavano insieme, fa della separazione dei genitori un’immagine della spartizione, una delle due grandi pulizie etniche del 1947, i cui effetti ancora ci affliggono. Per Taseer l’India unita ed eterogenea diventa un’assenza come quella del padre.
Ma c’è un’altra assenza che brilla. È quella dell’islam tradizionale e plurale. Una volta fuori dal subcontinente, il viaggio diventa una ricerca più astratta dell’identità islamica, ed è meno avvincente. Nella sua ricerca riduttiva di un “islam transnazionale”, Taseer non coglie le diversità che continuano a esistere. L’islamismo furioso e ottuso che incontra in Siria è solo un aspetto della vita del paese. Taseer dà un’immagine unidimensionale delle terre che attraversa, rasentando la para noia. Paradossalmente, alla sua prospettiva laica farebbe bene un esame più attento del mondo reale. In Siria riconosce un amorfo “malcontento” musulmano, ma non vede i milioni di profughi iracheni e palestinesi. In Iran spiega i motivi della rivoluzione islamica in modo un po’ troppo semplice. Non cita le undicimila vittime della dilagante guerra statunitense al terrorismo nelle aree tribali del Pakistan. E l’unica volta che accenna all’occupazione di Iraq e Afghanistan la parola “occupazione” è tra virgolette, come se fosse un’invenzione musulmana.–Robin Yassin-Kassab, The Guardian

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