2 feb 2011

L'asterisco

Quale  prudentia?

I romani indicavano nella prudentia la virtù principale di un uomo politico, di colui cioè che si occupa della res  publica.
Una serie di considerazioni sul tema della prudenza  come virtù necessaria, possono essere interessanti e spero condivise da chi legge.
Potremmo iniziare col dire che tale prudentia dovrebbe consistere nel sapere valutare a priori le conseguenze delle proprie azioni, e se questo vale per ognuno di noi ha un maggior peso se riferito a chi si occupa del buon governo, perché da certi comportamenti possono derivare conseguenze che inevitabilmente finiscono per ricadere sull’intera collettività.
Qualcuno potrebbe anche accomunare la prudentia alla fedeltà, all’attaccamento ai valori e ai principi ritenuti essenziali da una società.
Sempre i romani infatti ritenevano che la prudenza coincidesse anche la fedeltà ai principi i ai valori della nazione e del popolo di Roma. Non a caso nella guerra civile tra Marco Antonio e Ottaviano fu decisiva l’immagine che quest’ultimo diede si sé in quanto uomo prudente e fedele ai principi repubblicani, mentre Marco Antonio sedotto da Cleopatra e dal modo di vivere orientale tradiva certe tradizioni.
In epoca successiva il messaggio evangelico recita: prudenti come serpenti semplici come colombe.
Semplici cioè senza doppiezza, senza inganno, retti ed integri, circondati da una corte di saggi e non  di goderecci come usavano certi despoti di altri tempi.
Prudentia, dunque come virtù, etica, amministrazione di una nazione nell’interesse della stessa, a prescindere dai propri interessi e dalle proprie vicende personali.
Un grande filosofo come Platone indicava la misura quale virtù in cui  risiede l’arte del reggitore di popoli, in ogni cosa è opportuno evitare gli eccessi o il difetto, e  trovare il giusto mezzo attraverso il quale “tessere insieme” nell’interesse dello Stato, in modo da contemperare in giusta misura la prontezza d’azione e la saggezza di giudizio.

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